Opera
La Sala “O del ’22” è un progetto di allestimento che Terragni realizza per la Mostra del decennale della Rivoluzione Fascista tenutasi a Roma, nel Palazzo delle Esposizioni.
L’incarico gli venne affidato il 20 maggio del 1932 da Dino Alfieri, direttore e responsabile della mostra, con l’intento di ricostruire il periodo storico del 1922 per quanto riguardava la parte artistica; Terragni era affiancato in un primo momento dallo storico Professor Mataloni, che successivamente venne sostituito da Enrico Arrigotti a curare la parte storica (Ciucci, Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, 383).
A distanza di un anno dallo scioglimento del MIAR (Movimento Italiano per l’Architettura Razionale) di cui faceva parte insieme agli esponenti del Gruppo 7 ed altri esponenti regionali, segue quindi una sconfitta per l’architettura moderna in Italia, dove secondo Zevi “si devono abbandonare i contenuti per puntare sulle forme: siamo infatti al culmine delle manifestazioni pubblicitarie e declamatorie del regine” (Zevi, 56).
Terragni lavora sia planimetricamente, progettando la disposizione delle opere da esporre, sia cercando di selezionare i fatti storici rappresentativi: l’allestimento della “Sala O” di basava su un dattiloscritto di novantotto pagine che lo storico Arrigotti aveva redatto elencando i fatti più importanti avvenuti tra il 1° gennaio e il 23 ottobre del 1922 (Ciucci, Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, 383).
E ancora nella monografia di Giorgio Ciucci si evidenziano i compiti di Terragni e Arrigotti: “Arrigotti, squadrista della prima ora, ripercorreva in questa cronaca, che egli impropriamente definiva ‘diario storico’, il proprio passato fascista, amplificava e distorceva gli avvenimenti che avevano preceduto la marcia su Roma, glorificava i ‘martiri’, esaltava le parole del duce, dileggiava gli avversari, giustificava le violenze fasciste e condannava quella degli oppositori, dando così luogo a un racconto che seguiva disciplinatamente le indicazioni, date dal partito, per la compilazione del quadro storico. Leggendo il diario Terragni sottolineò, prese appunti e riportò quelli che egli riteneva essere gli avvenimenti più importanti; per lo più di episodi che evidenziavano la sostanziale differenza fra uno stato liberale debole, ormai consumato, che cercava di sopravvivere e uno stato fascista forte e vitale, che stava affermando la propria’ autorità. Un primo progetto venne impostato su questa contrapposizione, documentata nel ‘diario storico’ da estratti di articoli e discorsi di Mussolini, in cui si denunciava la confusione e la sostanziale incapacità politica del governo e dei socialisti, e si candidava il fascismo alla guida del paese. Terragni sottolineò ed evidenziò i passi più energici, quelli che meglio dimostravano la risoluta volontà del duce di salvare l’Italia con un atto rivoluzionario” (Ciucci, Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, 384).
La sala, a forma rettangolare, utilizza le pareti in funzione espositiva: nella parte superiore si esprimeva tutta la creatività di Terragni, mentre nelle parti inferiori, le vetrine restituivano i documenti originali degli avvenimenti, in un percorso obliquo che terminava in uno spazio più ampio semicircolare.
Terragni, esasperando la retorica, “conferisce ai simboli del fascismo una funzione meramente decorativa: li considera quasi objects trouvés, ne vanifica il significato con iterazioni ossessive, con incastri, sovrapposizioni, tagli in sostanza dissacranti. […] rappresenta un cumulo di rottami chiassosi, comunque decisamente antimilitaristici e anti-imperiali” lontani “dal volto duro che la dittatura mussoliniana intendeva acquisire” (Zevi, 56; Marcianò, 74).
I riferimenti alla cultura russa e al futurismo sono presenti: a differenza di altri razionalisti, la cultura di Terragni attinge a vertici espressivi internazionali “senza fare mai il verso, in modo scolastico, a Le Corbusier, a Mies e a Gropius (C. De Seta)” (Marcianò, 74).
Nella pubblicazione di Ada Francesca Marcianò viene riportato un estratto dell’articolo comparso su Costruzioni Casabella del 1941 di Giuseppe Pagano che descrive così, a distanza di nove anni, gli esiti della mostra: “… La mostra intese di essere un atto rivoluzionario, un segno del distacco delle nuove generazioni da quelle del passato. Volle essere violentemente antiaccademica, e usò di certi accorgimenti grafici e scenografici chiaramente derivati dall’arte russa, con particolari riferimenti al gusto di Melnikoff; il fotomontaggio diventò da quel momento la maggior risorsa decorativa degli allestimenti italiani, fino all’abuso. Nella storia delle esposizioni italiane questa Mostra della Rivoluzione Fascista sta come un fatto importante; per la prima volta unità di gusto, un clima, fu assolutamente raggiunto; la mostra si distaccava completamente e violentemente, perfino disordinatamente, dall’orientamento stilistico dell’architettura europea … (Costruzioni Casabella n. 159-160, Marzo-Aprile 1941)” (Marcianò, 95).
Scritto redatto sulla base di:
CIUCCI, Giorgio (a cura di), Giuseppe Terragni: opera completa, (con Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio), Milano: Electa, 1996
FOSSO, Mario, MANTERO, Enrico, Giuseppe Terragni 1904-1943, Como: Cesare Nani, 1982
MARCIANÒ, Ada Francesca, Giuseppe Terragni opera completa 1925-1943, Roma: Officina, 1987
ZEVI, Bruno (a cura di), Giuseppe Terragni, Bologna: Zanichelli, 1980