Opera
La vicenda, che vede protagonista il progetto per la Nuova Sede dell’Accademia di Brera con annesso anche il Liceo Artistico, si sviluppa in un tempo molto dilatato, portando a diversi risultati progettuali ma senza alcun riscontro sull’effettiva costruzione.
Nel 1935, quando il gruppo composto da Terragni, Lingeri, Pollini e Figini ricevette l’incarico di redigere il progetto per la Nuova Sede dell’Accademia di Brera con annesso anche il Liceo artistico, la questione della nuova sistemazione si stava già trascinando da circa vent’anni (Ciucci, Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, 483). Già nel 1913 era stata elaborata una convenzione tra Comune, Stato, Provincia e Camera di commercio di Milano, che stabiliva la creazione di un Consorzio per l’assetto edilizio degli istituti superiori di Milano.
Un primo progetto, redatto nel 1933 da Enrico Mariani, professore di Architettura presso l’Accademia, era stato approvato dalla Sopraintendenza ai monumenti della Lombardia e dal Ministero, ma rimase arenato per via dei finanziamenti che non arrivavano da parte del Consorzio e del Ministero dei Lavori pubblici. Solo nel 1934 venne chiesto a Mariani di redigere un progetto esecutivo, anch’esso non presentato e avviato in quanto non rispondeva alle tradizioni artistiche dell’Accademia, specialmente dal punto di vista architettonico.
Il nuovo Presidente dell’Accademia, Rino Valdameri, decise così di affidare l’incarico a Figini e Lingeri, a cui poi si aggiunsero Pollini e Terragni, nella creazione di un impianto completamente nuovo (Ciucci, Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, 484).
I progetti che vennero elaborati dal gruppo Terragni, Lingeri, Pollini e Figini sono in sostanza tre, che vendono il susseguirsi di richiesta, vicende e bocciature delle loro soluzioni.
Il primo progetto, elaborato nel 1935 e inserito nel giardino Orto Botanico di Brera, era composta da due corpi allungati, uno di uno e l’atro di cinque piani, sollevati da terra, per intaccare il meno possibile il suolo del giardino. Un pontile sospeso al primo livello collegava gli spazi di studio e lavoro, orientati a nord-ovest, con il blocco a sud-est dei servizi e dei collegamenti. L’architettura, in acciaio e vetro, costitutiva così una scatola di vetro che metteva in relazioni visiva gli spazi interni con l’esterno. Il progetto a blocco sospeso venne sottoposto nel dicembre dello stesso anno a Mussolini, che ne approva l’inserimento, ma nello stesso tempo il progetto viene bocciato dal Consiglio Superiore delle Belle Arti, in quanto deturpava il giardino botanico (Marcianò, 150; Rassegna 11, 41; Ciucci, Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, 484-486).
Il Ministro Bottai nomina così una commissione che ha il compito di valutare le proposte alternative e, nonostante la commissione era composta da Ojetti, Giovanni, Piacentini e Clerici (tutti fervidi conservatori e oppositori della modernità), la seconda ipotesi, in struttura “autarchica”, presentata da Terragni viene approvata, con esclusione dal progetto nella volumetria del Liceo Artistico che veniva posto in vecchi stabilimenti (Marcianò, 150; Zevi, 114).
Gli architetti ridussero così l’impianto progettato ai soli locali destinati all’Accademia presentando a Bottai, nel 1937 dei nuovi disegni che probabilmente sono alla base del terzo progetto del 1938.
A causa di alcune dispute progettuali tra Terragni e il duo Figini – Pollini, “l’8 febbraio 1938 Lingeri ricevette dal consorzio l’incarico ufficiale – approvato da Bottai il 22 marzo – per un progetto preliminare e sommario a scala 1:200, nella redazione del quale poteva avvalersi della collaborazione degli architetti che avevano lavorato al primo progetto. Ma i rapporti di Terragni con Figini e Pollini si erano ormai deteriorati e una collaborazione si presentava difficoltosa, perché sembrava venuta meno la fiducia reciproca, come traspare dalla ‘convenzione’ inviata da Figini e Pollini a Terragni e Lingeri il 29 marzo 1938, in cui oltre a definire le questioni dei compensi, delle spese, delle firme, delle pubblicazioni e degli eventuali ulteriori incarichi relativi al secondo progetto per Brera, si precisa che i quattro architetti “presteranno la loro opera in eguale misura, e le decisioni inerenti verranno prese di comune accordo’, mentre le trattative con la committenza e con altri enti ‘dovranno essere svolte o collegialmente, o quantomeno da un rappresentante dello studio Lingeri – Terragni unitamente con un rappresentante dello studio Figini – Pollini. […] L’edificio non era più sollevato dal suolo, la struttura in acciaio era sostituita da una in cemento armato, che, sul lato di ingresso, cioè verso sud, formava un loggiato continuo di 15 campate, su due piani. Il progetto del 1938 si può leggere, per certi aspetti, come una rielaborazione di quello del 1935: al posto del corpo per le esposizioni vi è una terrazza in parte coperta, pensata come una sorta di giardino pensile per la copia dal vero di statue di grande dimensione, come appare dalla veduta prospettica di questo livello dell’edificio; la scala monumentale si trova nella stessa posizione; sul fronte nord è rimasta la grande vetrata continua che illumina le aule, che è però attraversata da una balconata a livello del secondo piano; sono mantenuti gli spazi a doppia altezza che ospitano le aule principali; è rimasto, anche se modificato, il corpo a un piano sporgente dal blocco principale” (Ciucci, Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, 488-489).
Nel febbraio del 1939 viene rilasciata ai progettisti l’autorizzazione ufficiale, da parte della Sopraintendenza ai monumenti della Lombardia, per la costruzione della nuova sede, di dimensioni minori di un terzo rispetto al giardino, dove trovano posto al piano terreno le scuole di scultura e incisione, al piano alto le aule e gli studi e nel piano rialzato il refettorio e i locali di riunione di docenti e discendenti (Marcianò, 150; Ciucci, Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, 490).
“Nelle tavole inviate al ministero il 28 maggio 1940, l’edificio – per il quale è previsto un costo di circa 5 milioni di lire – è un rettangolo di 102,50 x 22 m, con accesso in corrispondenza da via Gabba; ha un piano seminterrato, tre piani fuori terra e un eventuale sopralzo a quota 15,5 metri, disegnato solo in pianta e nella veduta prospettica. È questa la principale differenza rispetto alla versione a quattro livelli pubblicata da Zevi nel 1968. Altre minori discordanze riguardano le dimensioni dei cavedii, la posizione dei servizi e la presenza, nel progetto a quattro piani, di pareti vetrate oblique, che in questa versione risultano invece parallele al lato maggiore del rettangolo di base. Matrice dell’intero progetto “in struttura autarchica” è la particolare configurazione dei primo piano, dove si trovano le aule dei corsi principali – pittura, scenografia, scultura e affresco – con pareti sfalsate a formare quattro spazi a Z, elemento caratteristico di un altro progetto studiato da Terragni intorno al 1940, ma non sviluppato, per l’università della seta di Como. Le aule, alternate a zone di distribuzione vetrate che ospitano i collegamenti verticali e i servizi che si aprono su piccoli cavedii, presentano una zona a doppia altezza, su cui si affaccia un soppalco e lo studio del docente. Si tratta di una disposizione volumetrica pensata per l’esecuzione di scorci da livelli diversi e di lavori di grandi dimensioni. La aule presentano una doppia illuminazione: a sud le vetrate sono schermate da lastre in marmo di Musso collegate da lastre di vetro inclinate; verso nord la vetrata continua è raddoppiata per evitare dispersioni di calore. Al piano intermedio, dove si trovano i soppalchi delle aule che risultano collegati tra di loro da una spina centrale di distribuzione, sono ospitati anche gli studi dei docenti, pure a doppia altezza e dotati di soppalchi situati al piano superiore. L’edificio presenta dunque un’articolazione interna e una ricchezza spaziale tipiche dei progetti di Terragni di questi anni, ottenute con incastri di spazi e slittamenti in pianta e in sezione” (Ciucci, Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, 491).
“Il progetto venne” infine “approvato dalla Direzione generale delle arti e dal Consiglio superiore dei lavori pubblici con parere del 26 febbraio 1941, in cui si riteneva opportuno realizzare anche la prevista sopraelevazione. Nel frattempo Valdameri, nel giugno del 1940, fu sostituito alla presidenza dell’Accademia da Perenti, ex sindaco di Milano, il quale rimise in discussione tutta la questione proponendo la sistemazione del liceo artistico nel chiostro dell’Incoronata, il trasferimento in altra sede della Biblioteca braidense, dell’Osservatorio e dell’Istituto lombardo di scienze e lettere e il mantenimento dell’Accademia nell’antico palazzo di Brera, un’idea appoggiata anche dal soprintendente ai monumenti della Lombardia Chierici. La questione si ripresentò negli stessi termini alla fine della guerra. Dopo un tentativo andato a vuoto, messo in atto nel 1946 dal nuovo soprintendente Guglielmo Pacchioni, di vincolare per la costruzione della nuova sede dell’Accademia alcune aree circostanti il palazzo, nel maggio 1948 Lingeri, Figini e Pollini ricevettero dal ministero della Pubblica istruzione l’incarico di rivedere, seguendo le direttive dell’ingegnere capo del Genio civile di Milano, il progetto redatto nel 1940. Si voleva ridurre la mole e diminuire il costo dell’edificio (dai 300 milioni previsti a 250), mantenendone però l’impianto complessivo. La nuova versione del progetto, che come le precedenti rimase sulla carta, venne presentata al ministero nel maggio 1950. L’edificio copriva ora una superficie di circa 1700 mq, il numero delle campate era ridotto da 19 a 15, eliminando un blocco scale, una soluzione che comportò in pianta la perdita del chiaro ritmo strutturale dato dalla caratteristica forma delle aule, anche se l’immagine complessiva dell’edificio non subì trasformazioni di grande rilievo” (Ciucci, Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, 492).
Come nel progetto per l’Università della Seta a Como, dai progetti per la nuova sede dell’Accademia emerge come il ruolo dell’architettura sia autonomo, indipendente dalla funzione, in questo caso scolastica, e che si costruisce tramite spazi convenzionali, non tradizionalmente organizzati (Fosso, Mantero, 119).
Scritto redatto sulla base di:
BAGLIONE, C., SUSANI, E. (a cura di), Pietro Lingeri 1894-1968, con scritti di Avon Annalisa et. al., Milano: Electa, 2004
CIUCCI, Giorgio (a cura di), Giuseppe Terragni: opera completa, (con Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio), Milano: Electa, 1996
FOSSO, Mario, MANTERO, Enrico, Giuseppe Terragni 1904-1943, Como: Cesare Nani, 1982
MARCIANÒ, Ada Francesca, Giuseppe Terragni opera completa 1925-1943, Roma: Officina, 1987
ZEVI, Bruno (a cura di), Giuseppe Terragni, Bologna: Zanichelli, 1980
Pietro Lingeri, 1894-1968: la figura e l’opera: atti della Giornata di studio: Triennale di Milano, lunedì 28 novembre 1994, Milano: Arti grafiche G.M.C., 2005
Rassegna, IV, n°11, settembre 1982